Cancro del colon: la dieta e il microbiota
I risultati di studi recenti suggeriscono che il rischio di cancro al colon è determinato dalla interazione tra dieta abituale e microbiota intestinale.
Il cancro del colon-retto (CRC) è il terzo tumore più comune nel mondo, causando quasi 500.000 morti ogni anno. Oltre al background genetico, i fattori ambientali, tra cui la dieta e lo stile di vita sono i principali responsabili dello sviluppo dell’adenoma e del CRC. Nello stile di vita favorente sono compresi: elevato BMI, obesità, e ridotta attività fisica.
Di recente vi è crescente interesse sulla microflora come fattore implicato nello sviluppo di malattie metaboliche, neoplastiche e infiammatorie. I cambiamenti nella dieta influenzano la flora intestinale e, viceversa, il microbiota aumenta la produzione di fattori alimentari scatenanti il cancro del colon. In questa direzione, l’identificazione delle comunità microbiche associate alla carcinogenesi è di fondamentale importanza.
Oggigiorno, con l'evoluzione delle tecniche molecolari coltura-indipendenti, è diventato possibile identificare le principali specie batteriche in individui sani, sia per le condizioni infiammatorie, sia per il CRC. Alcuni studi recenti hanno dimostrato le differenze del microbiota intestinale tra i pazienti affetti da cancro del colon e i soggetti sani. Studi su animali hanno fornito una migliore comprensione delle interazioni tra patogeni e simbiotici nello sviluppo del cancro al colon.
Non esiste un unico agente patogeno identificato nel CRC, tuttavia, vi sono dimostrazioni che la riduzione dei batteri protettivi, con l’aumento di altri batteri (specie Fusobacterium, Bacteroides/Prevotella), e i cambiamenti nel microbiota legati all'età, hanno un impatto sullo sviluppo dell’adenoma e del cancro. È possibile, dunque, che in un futuro, abbastanza prossimo, si possa intervenire sul microbiota intestinale con diverse misure dietetiche e con la somministrazione di prebiotici e probiotici, atte alla prevenzione.
Fonte: Diet, microbiota, and colorectal cancer. J Clin Gastroenterol. 2014 Nov-Dec; 48 Suppl 1:S67-9.doi:10.1097/MCG.0000000000000252.http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25291132
Da www.obesita.it
CANCRO AL COLON:
L’OBESITÀ PROMUOVE I FATTORI BIOLOGICI COINVOLTI NEL PROCESSO DI CARCINOGENESI
L’obesità rappresenta un fattore di rischio accertato per lo sviluppo del tumore al colon. Ma quali meccanismi biologici sono alla base di quest’associazione? Infiammazione, fattori di crescita cellulare e specifici elementi genetici sembrerebbero costituire i principali protagonisti nel favorire il processo di proliferazione tumorale di questi tessuti. L’evidenza giunge da un recente studio sul modello animale da laboratorio condotto dai ricercatori americani del National Cancer Institute. Il team medico ha infatti testato l’influenza della dieta sulla severità della patologia in un modello animale di tumore, analizzando come si modificavano in risposta all’alimentazione una serie di indicatori biologici potenzialmente coinvolti nel processo carcinogenico.
Gli autori hanno analizzato lo sviluppo del tumore e al variazione dei parametri biologici parallelamente in animali in condizioni di sovralimentazione ed in animali in condizioni di restrizione calorica, riscontrando che la severità della condizione patologica variava in modo significativo e correlava con specifici marker. Gli animali sovra-alimentati presentavano, rispetto ai controlli e a quelli destinati ad una dieta ipocalorica, oltre ad un numero mediamente superiore di tumori al colon, concentrazioni più elevate di citochine infiammatorie circolanti e del fattore di crescita simile all’insulina ed anche di alcuni microRNA coinvolti nella regolazione dei processi di morte cellulare programmata a livello delle cellule tumorali.
Gli autori hanno dunque concluso che, almeno nell’animale, gli effetti pro-carcinogenici nel tumore al colon legati alla sovra-alimentazione e dunque all’obesità sarebbero riconducibili a differenti meccanismi, tra i quali un’alterazione della condizione infiammatoria, ma anche una riprogrammazione dell’espressione di elementi genetici dotati proprietà regolative sui processi di sopravvivenza delle cellule.
Fonte: Olivo-Marston SE, Hursting SD, Perkins SN et al. Effects of Calorie Restriction and Diet-Induced Obesity on Murine Colon Carcinogenesis, Growth and Inflammatory Factors, and MicroRNA Expression. PLoS One. 2014 www.obesita.it
Generalmente si ritiene che un’assunzione eccessiva di P possa competere con il Ca intaccando la salute e il metabolismo osseo. Ma valutando le associazioni indipendenti tra l'assunzione di fosforo e i parametri della salute ossea, come il contenuto minerale osseo (BMC) e la densità minerale ossea(BMD) sembra probabile che tale competizione si annulli.
Questo è quanto si è in sostanza verificato analizzando i dati forniti dallo studio di sorveglianza americano noto con l’acronimo NHANES (National Health and Nutrition Examination Survey). I dati riguardavano maschi e femmine di età compresa tra 13-99 anni che hanno partecipato al NHANES nel periodo 2005-2010.
L’analisi dei dati disponibili, aggiustati per le covarianze (età, sesso, indice di massa corporea, e il consumo dicalcio (Ca), proteine, latticini, e vitamina D), nonché l'apporto di Ca supplementare e di altri supplementi (vitamina D, multivitaminici/minerali) ha dimostrato che un’assunzione superiore di P era associata con una maggiore assunzione di Ca, e che il Ca assunto con la dieta era adeguato nei rapporti con il P in tutti i gruppi di età / sesso.
Un’elevata assunzione di P era positivamente associata con BMC nelle adolescenti di sesso femminile e positivamente associata con BMC e BMD e riduzione del rischio di osteoporosi negli adulti> 20 anni di età. Pertanto, secondo gli autori, questi dati suggeriscono che un'elevata assunzione di P non ha alcun effetto negativo sul metabolismo osseo nelle popolazioni con un adeguato apporto di Ca, e che è anche associata, in alcuni gruppi di età/sesso, con un incremento positivo dei parametri di salute ossea.
(dal sito www.obesita.it)
Fonte: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25856461
Association between phosphorus intake and bone health in the NHANES population. Nutr J. 2015 Mar 21;14(1):28. doi: 10.1186/s12937-015-0017-0.
POCO MAGNESIO, POCO OSSO:
Il magnesio è un componente necessario alla salute dell’osso, ma la sua relazione con le fratture osteoporotiche non è del tutto chiara.
In uno studio americano prospettico di coorte che ha considerato 73.684 donne in postmenopausa già partecipanti al Women's Health Initiative Observational Study è stata stimata l’assunzione giornaliera di magnesio da questionari alimentari al basale e dopo assunzione d’integratori. Un'analisi della densità minerale ossea (BMD) al basale è stata eseguita in 4778 delle partecipanti.
Si è così evidenziato, in sostanza, che la densità BMD dell’anca al basale era superiore al 3% e la BMD total body era superiore al 2%, nelle donne che consumavano una quantità di MG > 422,5 rispetto a quelle che ne consumavano una quantità < 206,5 mg al giorno. Tuttavia, l'incidenza e il RR di fratture dell'anca e totali, non differivano.Al contrario, il rischio di fratture del braccio o del polso aumentava con una maggiore assunzione di magnesio. Inoltre, le donne con più elevata assunzione di magnesio erano fisicamente più attive e proprio in queste stesse donne si verificava un aumento della frequenza di cadute. Dunque, secondo gli autori, anche se l’assunzione scarsa di magnesio con la dieta può intaccare la densità minerale ossea, non è questo il motivo per cui aumenta il rischio di fratture.
Fonte: Magnesium intake, bone mineral density, and fractures: results from the Women's Health Initiative Observational Study. Am J Clin Nutr. 2014 Feb 5. Fonte: www.obesita.it
Le fibre alimentari proteggono il cuore.
Le fibre alimentari non solo ci aiutano ad essere“regolari” nella nostra fisiologia quotidiana ma ci aiuterebbero a prevenire lo sviluppo dei principali disordini a carico del sistema cardiovascolare. Questa la conclusione definitiva raggiunta da un recente studio inglese che ha analizzato in modo retrospettiva le informazioni reperite nei principali database di letteratura scientifica medica. Complessivamente, il consumo di questi alimenti correlava con un minore rischio di malattie cardiovascolari e coronopatie.
Queste evidenze sono giunte dall’’analisi retrospettiva di 22 studi che includevano il quantitativo totale di fibre assunte con la dieta, il tipo e la fonte delle fibre e, quindi, l’incidenza degli eventi cardiovascolari.
Gli autori hanno infatti potuto stimare che per ogni 7 grammi di fibre consumate giormalmente, più o meno l’equivalente di due o quattro porzioni di frutta e verdura oppure una porzione di cereali integrali o legumi, il rischio di sviluppare una delle suddette condizioni cardiovascolari si riduceva del 9%. I risultati della meta-analisi, condotta dai ricercatori dell’’Università di Leeds, sono stati presentati sulla rivista British Medical Journal.
Tipicamente, il consumo di fibre insolubili come quelle della frutta, verdura e cereali si associa ad un minor rischio cardiovascolare, quello che invece è emerso dalla presente analisi è il fatto che questi alimenti offrono una discreta protezione anche contro le condizioni che interessano direttamente le arterie.
Fonte: Threapleton DE, Greenwood DC, Evans CE et al. Dietary fibre intake and risk of cardiovascular disease: systematic review and meta-analysis. BMJ. 2013 Dec 19
Dal sito www.obesita.it
Curare depressione e obesità insieme: si può?
L'’impiego della terapia comportamentale affiancata agli interventi di modifica dello stile di vita favoriscono un più efficace recupero del benessere psicologico e miglioramento della condizione corporea. Disagio psicologico e disordini del peso corporeo sono due condizioni che possono presentarsi spesso contemporaneamente, specialmente nelle donne, e contribuiscono ad un circolo vizioso di comportamenti e stati d’animo che non favoriscono il trattamento delle due patologie.In aggiunta, non casi non è inequivocabilmente possibile stabilire un relazione precisa di causa ed effetto tra le due condizioni, poichè ciascuna sembra favorire il rischio di sviluppare l’altra, e così viceversa.
È dunque possibile curare queste due condizioni contemporaneamente, favorendo così un circolo virtuoso di remissione da entrambe?
La risposta, fortunatamente, sembra essere affermativa e giunge dai ricercatori dell’Università del Massachussets, i quali hanno potuto dimostrare l’impatto benefico derivante dalla combinazione di terapia comportamentale e modifica dello stile di vita sull’evoluzione clinica delle due condizioni.
Nello studio gli autori hanno destinato un gruppo di donne adulte (età media 45 anni) affette da depressione maggiore ad un breve periodo di trattamento comportamentale per la terapia della depressione seguito da una vera e propria di modifica dello stile di vita, oppure ad un programma costituito unicamente dal secondo tipo di intervento.
A distanza di sei mesi dall’inizio del trattamento, emergeva che entrambe le strategie adottate determinavano una significativa, ma tuttavia simile riduzione del peso corporeo nelle partecipanti.
Tuttavia, solo l’intervento combinato correlava con un netto miglioramento nei punteggi del test psicometrico Beck Depression Inventory-II a sei e dodici mesi dall’inizio del programma (modifica stile di vita).
Inoltre, le partecipanti che avevano presentato una remissione completa dallo stato di disagio psicologico entro i sei mesi, presentavano anche le più marcate riduzioni di peso, favorite dal trattamento.
Secondo i risultati dello studio, sarebbe, dunque, possibile sfruttare la sinergia degli interventi terapeutici nella gestione dei disordini psicologici caratteristici del sovrappeso femminile, e instaurare così quel circolo virtuoso che favorisce la remissione da queste due condizioni intimamente e pericolosamente associate.
Fonte:S Pagoto, K L Schneider, M C Whited et al. Randomized controlled trial of behavioral treatment for comorbid obesity and depression in women: the Be Active Trial International Journal of Obesity (2013)
www.obesita.it